Pazienza & caparbietà

La prima traversata invernale documentata dei monti del Matese.
3 giorni, 34km ed un dislivello totale di 4650 metri.

 

per la gallery fotografica, clicca qui

 
_ASE5432.jpg
 

Il massiccio del Matese è come un bel ricordo. È lì, sai che c’è, eppure di tanto in tanto fatichi a credere che sia reale. Soprattutto perché sta qui, in culo al mondo: al Sud.

 
_ASE6208.jpg

È un giorno come un altro di Gennaio quando ricevo un messaggio su Whatsapp.
- “Oh Fra, siamo in tre, vorremmo fare la traversata invernale del Matese con gli sci e campeggiando sulla neve, ci manca un quarto componente, ti andrebbe di venire?”
- “Ue Andrea, mi inviti a nozze! Dimmi quando e ci sarò!”
Una settimana dopo quello scambio di messaggi siamo in un paesino in provincia di Benevento, a casa di Mirko, l’ideatore della traversata, dove poco dopo ci raggiunge Stefano, ultimo componente a chiudere la compagnia.


26.01.2021

Sveglia alle 4, colazione veloce, e via, si parte verso Bocca della Selva, punto di inizio della nostra traversata.
Come ogni inizio, siamo pieni di energie, tutti in tiro, contenti di essere lì. Gli sci scivolano veloci sulla neve polverosa che è caduta quasi incessantemente da inizio mese.
Saliamo velocemente attraversando tratti boscosi per tentare di arrivare velocemente alla prima vetta, il Monte Mutria (1822 mslm).
Usciti dal bosco, siamo colti in pieno da una bufera di neve che ci sferza il viso tanto da farcelo diventare viola poco dopo. Il vento, con raffiche fino a circa 80km/h, ci obbliga a chinarci per non essere abbattuti a terra. La visibilità è inferiore ai 5 metri, la temperatura intorno ai -10°C. Restiamo vicini per non perderci nel bianco. Il GPS di Stefano ci torna utile più volte per tornare sul sentiero prefissato.

Chi se lo sarebbe mai aspettato di trovare condizioni simili qui? Spesso quando parlo con persone del Nord o anche stranieri, le domande che spesso ricorrono sono:<< Ma perché, li al Sud avete le montagne? Fa neve lì da voi?>>

Raggiunta la vetta ghiacciata del Mutria, proseguiamo scivolando giù veloci e poi, dove il bosco si infittisce, proseguendo a piedi, caricandoci gli zaini già pesanti con su anche gli sci.
Le nostre barbe e capelli sono cosparse di ghiaccio, come quelle foto degli esploratori antartici che tanto adoro guardare.
Nel pomeriggio il cielo finalmente si apre, regalandoci una vista che non sembra vero possa essere lì. Il lago del Matese e le altre vette che ci aspettano nei giorni seguenti a fare da sfondo, con la luce dorata che irradia tutto il paesaggio.
Il vento incessante spazza via la neve dalla cresta, creando giochi di luce con la polvere di neve spettacolari. Ci fermiamo per un attimo ad ammirare lo spettacolo. In fondo non stiamo concorrendo a nessun record.

Perdiamo finalmente quota.
Dobbiamo arrivare alla Sella del Perrone, dove passeremo la notte.
In un tratto boscoso fatto a piedi senza gli sci, cado.
Il sentiero è quasi piano, ma è stretto e sul fianco va giù ripido.
Scivolo giù per diversi metri. È un albero a fermarmi, lo zaino a farmi da scudo.
Illeso ma scosso, metto su i ramponi e procedo con cautela verso valle passando direttamente nel bosco. Quello che è appena successo è stato un errore stupido. Se non altro ho imparato la lezione, consapevole che sarebbe potuta andare molto peggio.

L’esperienza, in fondo, è quell’insieme di avvenimenti ed imprevisti a cui si sopravvive e da cui si impara sempre qualcosa di nuovo su come evitare di morire.

Trovata una radura tra gli alberi, ci accampiamo. Cuciniamo e ci lanciamo nei nostri sacchi a pelo per provare a dormire. Sono le 6.30 del pomeriggio.

_ASE5209.jpg
_ASE5326.jpg
_ASE5312.jpg
_ASE5315.jpg
_ASE5347.jpg
_ASE5392.jpg
_ASE5505.jpg
_ASE5555.jpg


27.01.2021

L’alba solitamente è il momento magico della giornata. I colori che a poco a poco prendono il sopravvento sul blu della notte, i raggi solari che illuminano timidamente solo alcune vette, lo rendono il mio momento preferito della giornata. Tutto è fermo e ancora dormiente. Pure il vento di ieri s’è fermato.
L’alba smette di essere magica però, se la notte è passata quasi insonne per tutti a causa del freddo. In questo caso l’alba la maledici.
Siamo tutti in piedi controvoglia a risistemare gli zaini, pronti a ripartire. Andrea ci avvisa che dovrà lasciarci e prendere la via del ritorno a causa di un imprevisto. Prende la strada statale che passa lì vicino, e dopo un po’ scompare dietro una curva. Noi continuiamo.
Sulla neve le dita fredde sono un problema comune. In fondo si parla delle estremità del nostro corpo, e se quello sente che c’è freddo, inizia a non pompare più sangue prima di tutto proprio alle mani e ai piedi. Che poi, a dirla tutta, in casi di emergenza sono proprio le cose che potrebbero trarci in salvo. Certo, il cervello, il cuore e gli organi interni sono vitali, ma se non posso correre e muovere le braccia, non aumenta solo l’agonia prima della fine? Che strane le reazioni involontarie del corpo umano.
Mentre camminiamo nel bosco, stavolta su un sentiero più largo e meno ripido, tolgo spesso i guanti per fiatare sulle dita ormai insensibili per il freddo, nel tentativo di farle prendere calore .
Il sentiero è lungo ed il peso degli zaini si fa sentire dopo meno di un’ora che siamo in cammino. Fortuna che c’è il sole a far finta di riscaldarci.

La vetta del monte La Gallinola (1923 mslm), da brava cima appenninica, si fa desiderare parecchio. Percorriamo la salita per creste ghiacciate e costellate di rocce coi ramponi ai piedi. È impossibile procedere con gli sci a meno che non si volesse danneggiarli seriamente. L’estenuante salita, alla fine, dà i suoi frutti: dalla vetta si ha una vista a 360°. A Nord la vetta del Monte Miletto, meta dell’indomani, e poi i Monti Aurunci, le Mainarde, la Majella ed anche la vetta del Corno Grande del Gran Sasso. Ad est il Molise, con il suo paesaggio collinare e la Puglia, dove si vede chiaramente anche il Mar Adriatico. A sud la Campania e l’Appennino Campano, la Costiera Amalfitana coi Monti Lattari ed anche alcune vette del Cilento. Infine ad Ovest il Mar Tirreno e le isole di Capri, Ischia, Procida e Ponza in vista.
Restiamo per un po’ ad ammirare il panorama grazie al sole che ci riscalda, e sfruttiamo il momento per addentare qualcosa.
La discesa procede veloce e senza intoppi. Unica pecca, lo spesso strato di ghiaccio che ricopre la montagna, che obbliga me e Mirko a procedere a piedi. Stefano, con la splitboard, è imperterrito ed anche per soli 10 metri preferisce scendere con la tavola, prima di fermarsi di tanto in tanto a causa di tratti pietrosi.
Arriviamo al tramonto in un rifugio a valle de La Gallinola. Una struttura con due stanze grosse, vuote e fatiscenti. Per noi è un hotel a cinque stelle. Mettiamo a sciogliere la neve, prepariamo un abbondante risotto ai funghi porcini e via a dormire. Stanotte si dorme caldi.

_ASE5732.jpg
_ASE5747.jpg
_ASE5781.jpg
_ASE5899.jpg
_ASE5927.jpg
_ASE6150.jpg
_ASE6138.jpg
_ASE6229.jpg


28.01.2021

La sveglia suona fortunatamente presto. Fortunatamente perché l’alba, da questo rifugio sperduto nel bianco, è spettacolare. Il blu della notte man mano si schiarisce lasciando spazio a sfumature violacee e via via che la luce aumenta, colora la roccia e la neve di rosa, e poi rosso e arancio.
Partiamo spediti, e poco dopo attacchiamo l’ultima vetta del massiccio, il Miletto (2050 mslm) tagliando spesso il sentiero per risparmiare un po’ di strada e tempo.
In circa 3 ore siamo in vetta. Ad aspettarci, un vento micidiale.
Decidiamo di scendere velocemente per il versante che dà le spalle al comprensorio sciistico di Campitello Matese. Il versante campano, che guarda al lago, è anche quello meno battuto e per certi versi selvaggio. Scendendo non sono rare le tracce di animali. Riconosciamo orme di lepri, lupi e cinghiali.

Ci ritroviamo ad un certo punto ad affrontare un traverso di 400 metri sul fianco della montagna. Qui in estate corre un sentiero escursionistico. Ora c’è un misto di condizioni nevose che lo rendono tutt’altro che tranquillo. Iniziamo mettendo i piedi su neve fresca, per poi passare a lastre di ghiaccio duro, dove ogni ramponata conta davvero per restare in piedi. Alla nostra destra, uno ripido scivolo lungo circa 300 m che finisce in un imbuto di rocce ed alberi.
Io, scosso dalla scivolata di due giorni prima, impiego il doppio del tempo dei miei compagni. Arrivato su un piano, tolgo lo zaino, mi stendoo e tiro un sospiro di sollievo. Probabilmente, ancora preso dal timore di cadere, ho ingigantito il senso del pericolo rispetto a quanto non fosse in realtà. L’importante, alla fine, è tornare vivi, a prescindere dal tempo che ci vuole.

Dopo altri traversi, creste e boschi, alcune ore più tardi, nel pomeriggio, siamo in auto, contenti e provati per la traversata appena conclusa, grati per averla vissuta insieme.

_ASE6246.jpg
_ASE6267.jpg
_ASE6342.jpg
_ASE6314.jpg
_ASE6390.jpg
_ASE6401.jpg
_ASE6423.jpg
_ASE6435.jpg
_ASE6468-Modifica.jpg
_ASE6503.jpg

Quando ho iniziato a fotografare, ero convinto che per scattare una foto di paesaggio bella, servisse un paesaggio bello.
Seppure non è un’idea così astrusa, e sebbene io ne sia ancora convinto almeno in parte, oggi credo prima di tutto che il concetto di bello, in fotografia, debba essere sostituito col concetto di interessante. La bellezza è un dato perlopiù soggettivo, anche se tutti siamo d’accordo che una foto delle cime dolomitiche possa essere oggettivamente una bella foto rispetto ad una foto di un sacco della spazzatura. Ma la chiave, soprattutto oggi che siamo letteralmente inondati da foto tecnicamente perfette eseguite in posti spettacolari, è rendere uno scatto interessante.
Senza voler entrare nel particolare del discorso prettamente fotografico, il punto di interesse in una fotografia può essere dato da svariati fattori e componenti, quali la luce, la composizione, il soggetto dello scatto o la tecnica di esecuzione.
Ovviamente, se un luogo è bello e spettacolare di suo, il fotografo non dovrà fare altro che guardarsi intorno, puntare l’obiettivo verso ciò che più coglie il suo interesse e scattare (opinabile, ma guardiamo in faccia alla realtà).

Gli Appennini non sono così. Questa catena montuosa che corre da Nord a Sud, non ti regala nulla, neppure la bellezza che in montagna dovrebbe essere quasi scontata.
Ti fa faticare ogni metro percorso, ti fa bestemmiare e sudare, e ti fa pure pensare “chi me l’ha fatto fare?”.
Il divertimento che puoi trovare sugli Appennini, è quasi esclusivamente di tipo 2, se non 3. (Oggi va di moda catalogare i tipi di divertimento, cercatelo online!)
Gli Appennini non ti fanno nessuno sconto. Per questo sono grato, dopotutto, di essere cresciuto negli ultimi anni come persona e come fotografo su queste montagne dalle vette smussate. Qui lo scorcio bello o il panorama mozzafiato te lo devi andare a cercare. E non è detto che su ogni cima o su ogni sentiero lo trovi. L’Appennino non dà garanzie, solo schiaffi in faccia, e per una ricompensa spesso misera.
Alla fine continui a tornarci, perché impari a volergli bene a ste montagne che qualcuno dice che montagne non sono, perché a quattromila non ci arrivano mica. Ma manco a tremila, se è per questo.
Impari a volergli bene perché ti insegnano l’arte della pazienza e della caparbietà.

_ASE6562.jpg